Non lontano dalla stazione 27, un addetto alle pulizie e una madre con il suo neonato si ritrovano rinchiusi nella centrale della metropolitana, piena di zombie in ogni angolo. Dovranno imparare a contare l’uno sull’altra e superare le proprie paure per riuscire a trovare insieme una via d’uscita. Ma nella loro fuga gli infetti non saranno gli unici ostacoli: un individuo misterioso li terrà costantemente d’occhio e dovranno affrontare un pericolo tale da far sembrare quasi inoffensivi gli altri zombie.
Sesto episodio di “The Tube: Exposed” (racconti esposti al morbo), collana spin-off della saga zombie “The Tube” ideata da Franco Forte. “Via di fuga” è stato selezionato nell’ambito del contest letterario sul forum della Writers Magazine Italia fra le decine di autori che stanno partecipando.
VIA DI FUGA (incipit)
Il deposito
– Passamelo!
Samantha lo fissò sbalordita, come se quella richiesta non fosse la cosa meno assurda. Strinse a sé Eric e fece un passo indietro. D’accordo che Jonathan aveva dimostrato di essere in gamba e li aveva già salvati una volta, ma che ne poteva sapere un ragazzetto di come si teneva un bimbo così piccolo? Rischiava di farlo cadere a terra!
– Cosa stai facendo?
Il verso alle sue spalle fu abbastanza forte da farle superare la diffidenza e ricordarle di chi era che doveva aver paura. – Stai attento, mi raccomando – disse, mentre sistemava la copertina di lana intorno al fagotto. Nemmeno quella volta riuscì a far sentire la propria voce, ma fu sufficiente il labiale e, forse, il suo atteggiamento protettivo. Il massimo che riusciva a fare.
– Certo, ma muoviti!
Il bambino passò di mano, transitando al di sopra del tornello a porte scorrevoli. Al principio Jonathan sembrò un po’ impacciato, poi sistemò meglio Eric, facendolo distendere sul braccio e mettendogli la testa nell’incavo del gomito. Un gesto che a lei, con sua sorpresa, sembrò del tutto naturale, come se il ragazzo non avesse mai fatto altro. Nonostante ciò, lo scoppio di pianto che ne seguì fu acuto e straziante.
Samantha si mise seduta sulla struttura che reggeva i tornelli, con l’intenzione di ruotare sulle natiche e scendere dall’altra parte. La visione del gruppo che si stava avvicinando la pietrificò. Non erano più di quattro o cinque, e nella penombra delle luci di emergenza avrebbero potuto essere scambiate per persone normali, non fosse stato per i versi osceni che emettevano e la camminata incerta. E per le mani protese. Di tutto quanto, erano le mani protese che la terrorizzavano di più. Mani protese a prendere lei. Mani protese a cercare il bambino, ad afferrarlo. A strapparglielo via.
continua…
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