Scritture Aliene 3

Scritture Aliene 3

Chi è veramente il serial killer che viviseziona barboni e prostitute?
Un guru alieno salverà l’umanità da se stessa?
Una maestrina elementare riuscirà a liberare i propri allievi da giganteschi imenotteri invasori?
Forze dell’ordine meccanizzate e senz’anima saranno in grado di reprimere il crimine del domani?
Nel XXII secolo il tenace ispettore De Vecchi agguanterà un misterioso assassino che terrorizza magnati e notabili?
Due giovani scrittori di fantascienza riusciranno a evolvere i propri stili senza snaturarsi?

Pelle (incipit)

Prologo

È inutile che mi guardi con quegli occhi impauriti, come se bastasse a impietosirmi e farmi cambiare idea.

Devi morire.

Apro le braccia, come a volerti abbracciare. Mi avvicino, sorrido. Ti illudo.

Faccio il gesto di sciogliere i lacci che ti tengono legato.

Sei convinto che ti slegherò. Invece no, scuoto la testa.

Guardami, guardami bene. Guardami ora.

1

Quando ci fermiamo davanti all’Adlington Astoria è sera avanzata. Fa un freddo bastardo e ha appena smesso di piovere. Ci sono già una mezza dozzina di veicoli con i lampeggianti blu; io e l’ispettore Carl De Vecchi arriviamo sulla sua anonima due posti, quasi in contemporanea al medico legale.

Ispettore De Vecchi saluta l’anziano dottore, un uomo con la pelle ancora liscia, capelli neri e un monocolo ultimo modello. Miracoli della chirurgia. Chi è questo giovanotto?

Joshua Zimmerman risponde di malavoglia il mio superiore, affondato sotto a un cappello a tesa larga che sembra uscito da un film in bianco e nero. Si vedono a malapena la protesi all’occhio sinistro, la punta di un naso che ha preso troppi pugni e parte del ghigno sprezzante. Il pivello che mi ha appioppato il capo.

Faccio un cenno con la testa: anche io patisco la temperatura così bassa. Il medico invece sembra a proprio agio, si vede che il lavoro nell’obitorio lo ha temprato.

Aria frizzantina, eh? mi sorride, senza sentirsi in dovere di presentarsi a sua volta. Ci sono abituato, fanno tutti così i colleghi più anziani. E i novellini come me devono essere preparati, per evitare figure di merda.

Ho sentito di peggio, dottor Arada rispondo, cercando di darmi un tono.

Si vede, giovanotto. E ride. Rido con lui, ho imparato che uno dei modi migliori per non inimicarsi gli altri, specie i più anziani, è ridere di se stessi.

Avete finito il cabaret? C’è un morto che ci aspetta.

Poi ci sono quelli come De Vecchi, con i quali certi trucchetti sortiscono l’effetto opposto.

Carl, Carl fa Hiroshi Arada, dandogli una pacca sulla spalla mentre entriamo nella hall del grattacielo. Almeno uno.

Hai notizie che io non ho? sbotta De Vecchi, non so se per la pacca o per l’idea di essere all’oscuro di particolari su questo caso.

Non t’incazzare, ispettore, ti fa male alla pressione. Stavo solo scherzando.

Come sempre, eh, vecchio stronzo?

Nonostante il tono minaccioso, il dottore rovescia la testa all’indietro e scoppia di nuovo a ridere.

La hall dell’Adlington Astoria è piuttosto anonima, pareti avvolgenti e pochi mobili squadrati. Il minimalismo stride con l’opulenza che ci si potrebbe aspettare dagli Adlington, famiglia tra le più ricche non solo di Neo-Bruxelles ma dell’intero pianeta. Due androidi parlano con un ragazzo dietro al bancone; uno dei due si è connesso al sistema informatico e con ogni probabilità sta scaricando i filmati delle telecamere di sicurezza.

Che piano? chiede l’ispettore.

Voi siete? domanda il ragazzo.

De Vecchi si toglie il cappello e apre il giaccone. Le luci della hall illuminano la stempiatura e i segni di vecchie ustioni intorno all’impianto oculare Nikkor. I garzoni della pizzeria. Abbiamo due margherite e una capricciosa per Theo Adlington.

Piano settantesimo, suite royal, ispettore De Vecchi interviene un androide, impossibile capire quale.

Rimani a disposizione, ragazzo.

Abbiamo quasi terminato la deposizione, ispettore.

La leggerò con interesse, testa di latta. Qualche domanda però gliela vorrei fare pure io. Ho il permesso?

Sissignore, ispettore.

Il ragazzo sgrana gli occhi. Credo che anche i due androidi sgranerebbero gli occhi, se solo potessero. Le parole di De Vecchi, o forse il modo in cui le ha dette, hanno fatto correre una lama ghiacciata sulla schiena perfino a me.

Nella suite l’aria è irrespirabile, nonostante le finestre aperte. Aleggia il nauseante odore della morte: Carl lo conosce bene, avendolo incontrato troppe volte in passato.

Vedi di non vomitare, figliolo pensa, mentre il novellino porta una mano alla bocca.

Altri due androidi stazionano ai lati del letto king size che domina il salone, vicino alla vetrata. Hanno terminato i rilievi e attendono l’arrivo del medico legale. Un terzo e un quarto automa parlano con un uomo e una donna. A giudicare da quanto è grosso e dal distintivo blu della Private Bodyguards, lui è la guardia del corpo di Adlington. Lei invece è Amelia, la neo-vedova. Tra i due, il più sconvolto sembra lui. La donna invece non batte ciglio.

Carl si avvicina, mentre Arada va ad analizzare il cadavere. Squadra il bestione e la vedova, li mette a fuoco anche con l’impianto ottico, cercando di cogliere i gesti che potrebbero testimoniare una qualche comunanza di intenti.

Non penserete che io abbia a che fare con la morte di mio marito sbotta la donna. Recita.

È nostro dovere prendere in esame tutte le opzioni, signora. La voce dell’androide è atona, fastidiosa all’udito.

Voi non sapete chi sono io!

Una pessima attrice”, ghigna tra sé e sé Carl. Amelia Van Beuren Adlington, dice ad alta voce erede della famiglia Van Beuren e amministratore delegato delle due società chiave dell’impero di Theo Adlington. Lo sappiamo.

Finalmente un essere umano e non un robot! Anche se…

Signora Van Beuren, non siamo qui a discutere della mia appartenenza al genere umano.

Il tono della voce di Carl la placa all’istante.

Apprezzerei una piena collaborazione da parte vostra. Prima finite di rispondere alle domande dei nostri agenti e prima chiuderemo questa serata. Zimmerman, assicurati che la signora Van Beuren e il signor…

Silva conclude il bestione. Domingo Silva.

… abbiano il rispetto che meritano. Gradirò poi avere un colloquio con voi, nei prossimi giorni.

Abbiamo quasi terminato… parte uno dei due androidi.

La deposizione, sì, lo so. “Cazzo d’una testa di latta”, mastica.

Lascia che il pivello si occupi di loro e raggiunge Arada. Theo Adlington è nudo, con mani e piedi legati alla struttura del letto da corde spuntate da chissà dove. Ne ha anche una intorno al collo. Ci sono graffi sul torace e uno squarcio all’altezza del diaframma. Non sembrano esserci segni di impianti sottocutanei. Un lembo delle lenzuola, impregnate di sangue, gli copre il pene. Arada solleva il lembo, poi lo rimette a posto. Ogni traccia di sorriso è sparita dal suo volto.

continua…

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